Quando parliamo di disprezzo nelle relazioni di coppia si fa riferimento ad una serie di pratiche che inducono il partner a sentirsi inferiore o inadeguato, come ad esempio l’umiliazione, le critiche distruttive o gli insulti gratuiti. Trattasi di un sentimento del tutto diverso dalla rabbia. Quest’ultima infatti indica ancora la presenza di una forma di attaccamento all’altro. In fin dei conti con la rabbia comunichiamo: “Mi hai ferito facendo o dicendo questa cosa”, “Se fai così io mi sento tradito/a o abbandonato/a. Non farlo più!”.
Gli studi di neuroimaging ci mostrano che il disprezzo in una coppia è in grado di produrre uno “shutdown corticale”: in pratica la nostra corteccia prefrontale, il cervello razionale ed empatico, cortocircuita per alcuni secondi. Questo significa che siamo dominati dalla parte emotiva del cervello, il sistema limbico. Per cui la corteccia, quella parte che ci permette non solo di ragionare, ma anche di provare compassione per l’altro e regolare azioni e reazioni, si disconnette e non è più accessibile per un almeno alcuni minuti.
Il disprezzo innesca in chi lo subisce una vera e propria reazione di attacco e difesa, come se fossimo proprio nel bel mezzo di un duello mortale. Ed il corpo naturalmente reagisce: si produce una cascata di ormoni come adrenalina e cortisolo e questo attiva tutti gli organi. Il cuore può accelerare fino a raggiungere i 110 battiti al minuto, il respiro si fa più corto, i muscoli cominciano a tendersi e la pressione si impenna.
Come emozione, il disprezzo ha un insieme di componenti: la componente fenomenologica (ovvero l’insieme di pensieri che hanno come contenuto l’inutilità della persona e quanto essa sia rivoltante); la componente fisiologica ed espressiva (che consiste nel restringimento delle labbra, con un lieve sollevamento dell’angolo in alto delle labbra, solamente da una parte del viso, spesso accompagnandosi a uno sguardo altezzoso); la componente comportamentale (che si manifesta tramite frasi che hanno lo scopo di umiliare l’individuo o mancargli di rispetto, oppure trattarlo come inferiore).
Il disprezzo ha inoltre un obiettivo, ovvero una funzione, ed è quella di trasmettere il fatto di non voler avere nulla a che fare con l’oggetto dell’emozione, e di avvisare le altre persone che quella persona è immeritevole e deve essere esclusa dal gruppo (Roseman, 2018). Pertanto, il disprezzo sembra avere anche un ruolo sociale, ovvero quello di cercare di unire in gruppo tutti coloro che provano disprezzo verso un determinato stimolo (Roseman, 2018). È stato osservato (Roseman, 2018), infatti, che più forte è la manifestazione del disprezzo, più è facile che venga riconosciuto e condiviso da altre persone.
Ad ogni modo, si tratta di azioni e re-azioni che spesso vengono tollerate o sopportate, ma il problema vero si pone allorquando diventano ricorrenti, portando così a definire la relazione. In questi casi, può essere di aiuto intraprendere una terapia di coppia. Il terapeuta è una terza persona neutrale, estranea e totalmente imparziale: questa figura può aiutare i due partner ad approcciarsi ai problemi in un ambiente protetto, evitando di coinvolgere altri membri della famiglia.
La terapia non ha come fine quello di eliminare il conflitto ma permette di porre attenzione a quegli aspetti che entrano in gioco in maniera automatica nella relazione e che non permettono più di comunicare in maniera significativa l’uno all’ altro. Questo è importante per aprire nuove opportunità di miglioramento e per dare spazio alle emozioni dolorose, rabbia e sofferenza che ristagnano nella coppia e si ripercuotono sull’intero nucleo familiare.