Il quadro dei sintomi delle addiction è sicuramente un coacervo di elementi di natura molto diversa.
Alcuni fisiopatologici, vedi la sindrome d’astinenza e la tolleranza; altri hanno invece una natura comportamentale, come l’assunzione della sostanza in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto. Altri sintomi rimandano invece a fenomeni soggettivi, come il desiderio irresistibile, il craving; altri ancora dipendono da fattori ambientali, economici e dalle risorse personali, materiali e sociali del soggetto, come l’uso ricorrente della sostanza che causa un fallimento nell’adempimento dei principali obblighi di ruolo sul lavoro, a scuola, a casa.
Ora, indipendentemente dalla prospettiva che si vuole adottare per la comprensione del fenomeno, resta il fatto che lo stigma continua ad essere il “marchio” con cui vengono indicati gli appartenenti ad una data categoria di persone giudicate come “diverse” e portatrici di un valore negativo; nei loro confronti la società nutre un senso di ostilità, disprezzo, discriminazione e rifiuto. In tal senso l’addiction, in particolare quella da sostanze, è frequentemente oggetto di stigmatizzazione, tanto da generare una forte resistenza nel riconoscere il disturbo e nell’accedere alle cure da parte di chi vive il disturbo.
In un’intervista rilasciata da Nora Volkow, Direttrice del National Institute on Drug Abuse (NIDA), al New England Journal of Medicine (NEJM) la Dott.ssa Volkow ha ribadito e spiegato l’importanza di combattere lo stigma sociale associato al disturbo da uso di sostanze. “Quando lo stigma circola nel pensiero sociale diffuso, anche la stessa classe medica ed il personale sanitario, seppure inconsapevolmente, può avere comportamenti stigmatizzanti ed è per questo che occorre ancora molta sensibilizzazione affinché l’addiction sia correttamente inquadrata e gestita. Inoltre lo stigma, quando diffuso, rischia di ostacolare il trattamento delle dipendenze, ritardando l’accesso alle cure”.
Per tentare di ridurre lo stigma associato al disturbo da uso di sostanze/ comportamentale, la Volkow elenca tre direttrici fondamentali su cui intervenire: la componente strutturale, la componente sociale e quella individuale.
Molto sinteticamente, si ritiene indispensabile una profonda opera di sensibilizzazione sul tema, favorendo la diffusione di una formazione continua delle professioni sanitarie (per esempio, la tossicodipendenza negli anni ’70 aveva caratteristiche diverse dalle dipendenze attuali) e migliorare l’accesso alle cure specialistiche, senza tralasciare la corretta informazione tra le perone su cosa sia l’addiction in modo da poter conoscere il problema. Il tutto, evitando un linguaggio stigmatizzante, usando termini che riconoscono l’altro come persona/individuo nella sua complessità e unicità. Ad esempio, favorire l’uso del termine dipendenza patologica o dipendenza anziché “tossicodipendenza”; persona con dipendenza da alcool anziché “ubriacone” o “alcolizzato”; persona dipendente da cocaina piuttosto che “cocainomane”.
Tali suggerimenti possono essere utili anche se concentrati solo sugli aspetti razionali e cognitivi del problema: interventi educativi efficaci dovrebbero riuscire ad accedere alle dimensioni emotive e affettive meno consce e meno controllabili per indurre cambiamenti sostanziali e duraturi nel tempo.