E’ impossibile non comunicare. Sarebbe arduo cercare di mettere in dubbio la fondatezza di tale affermazione, specialmente nel caso degli esseri umani: tutti noi, attraverso una serie di segnali che si sono sviluppati ed evoluti nel corso dei secoli, comunichiamo costantemente con gli altri esseri viventi e con l’ambiente circostante. Qualsiasi comportamento, in situazione di interazione tra persone, è ipso facto una forma di comunicazione. Di conseguenza, quale che sia l’atteggiamento assunto da un qualsivoglia individuo (poiché non esiste un non-comportamento), questo diventa immediatamente portatore di significato per gli altri: ha dunque valore di messaggio.
Anche i silenzi, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono forme di comunicazione al pari delle altre, poiché portano con sé un significato e soprattutto un messaggio al quale gli altri partecipanti all’interazione non possono non rispondere. Ad esempio, non è difficile che due estranei che si trovino per caso dentro lo stesso ascensore si ignorino totalmente e, apparentemente, non comunichino; in realtà tale indifferenza reciproca costituisce uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui può lo è un’animata discussione. Non è necessario, inoltre, che all’interno di un’interazione tra persone si verifichi la comprensione reciproca perché possiamo definire comunicazione i loro comportamenti reciproci; riguardo a questo aspetto si può parlare di comunicazione intenzionale o non-intenzionale, consapevole o inconsapevole, efficace o inefficace; si tratta di un altro ordine d’analisi.
Ogni postulato può venire distorto dalla presenza di disturbi della comunicazione e portare allo sviluppo di patologie strettamente correlate allo specifico principio. Per quanto riguarda l’impossibilità di non-comunicare, riteniamo che sia interessante esporre ciò che è stato definito “il dilemma dello schizofrenico”. Lo schizofrenico, almeno apparentemente, cerca di non comunicare attraverso tutta una serie di messaggi come il silenzio, le assurdità, l’immobilità, il ritrarsi; ma, poiché tutti questi comportamenti costituiscono comunque atti comunicativi, egli è preso in pieno in una situazione paradossale nella quale cerca di negare di stare comunicando e al tempo stesso di negare che il suo diniego sia comunicazione. Parlando in termini più generali, si verifica la distorsione del primo assioma tutte le volte che qualcuno cerca di evitare l’impegno inerente ad ogni comunicazione attraverso tentativi di non-comunicare (ad es. il rifiuto o la squalificazione della comunicazione), finendo per generare un’interazione paradossale, assurda o “folle”. In questa prospettiva, un comportamento etichettato come patologico può essere considerato come l’unica reazione possibile ad un contesto di comunicazione assurdo e insostenibile. Il sintomo (che sia nevrotico o psicotico) assume perciò il valore di messaggio non verbale; anche un sintomo è dunque comunicazione.