Il mondo del lavoro, sempre più competitivo e frenetico, è spesso teatro di dinamiche complesse che possono sfociare in situazioni di disagio psicologico per i lavoratori o, come nel caso del ventinovenne morto suicida, in fatti drammatici. In questi casi parliamo di vere e proprie pressioni psicologiche per poi passare al mobbing fino ad arrivare, in casi estremi, alla induzione di comportamenti anticonservativi.
Nello specifico, le pressioni psicologiche sul lavoro si manifestano attraverso una serie di comportamenti e atteggiamenti che generano stress, ansia e disagio nel lavoratore, come ad esempio carichi di lavoro eccessivi, valutazioni negative e continue, comunicazione ambigue, contraddittorie o manchevoli di chiarezza. Il mobbing, invece, è una forma più grave di violenza psicologica sul lavoro, ed è caratterizzata da comportamenti ostili, ripetuti e sistematici nei confronti di un singolo individuo, con l’obiettivo di isolarlo, umiliarlo e danneggiarlo psicologicamente.
Tali comportamenti possono essere devastanti sia per il lavoratore che per l’azienda, costretta a stravolgere il turnover del personale, a ridurre la produttività e aumentare i costi per le prestazioni sanitarie.. Le vittime di mobbing, ad esempio, possono sviluppare disturbi d’ansia e depressione, come attacchi di panico, insonnia, disturbi alimentari dal punto di vista fisico, invece, possono somatizzare con mal di testa, dolori muscolari o disturbi gastrointestinali. Non sono rari i casi in cui si assiste alla diminuzione dell’autostima e della fiducia in sé stessi, una buona dose di isolamento sociale, per concludere, un netto calo della produttività che spesso degenera nell’assenteismo.
A lungo termine, il mobbing può portare alla perdita del lavoro, a gravi problemi di salute mentale e, nei casi più estremi, al suicidio.
Per prevenire e contrastare il mobbing e le pressioni psicologiche sul lavoro sarebbe fondamentale promuovere una cultura aziendale sana e rispettosa, basata sulla collaborazione, il dialogo e il riconoscimento dei meriti; fornire ai dipendenti gli strumenti necessari per svolgere il proprio lavoro in modo efficace, come formazione, risorse adeguate e un ambiente di lavoro sicuro e confortevole; istituire canali di comunicazione efficaci per permettere ai dipendenti di esprimere le proprie preoccupazioni e segnalare eventuali situazioni di disagio; favorire la conciliazione vita-lavoro al fine di ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita dei dipendenti. Ma soprattutto, occorrerebbe intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni di mobbing: attraverso indagini accurate e misure correttive.
Va detto tuttavia che il panorama vessatorio non finisce con il mobbing. A dargli man forte c’è anche il bossing – messo in atto dai dirigenti per allontanare il lavoratore dal posto di lavoro – lo stalking e lo straining, il quale, a differenza del mobbing, l’azione vessatoria non ha carattere di continuità. Basti pensare al demansionamento, alla dequalificazione o alla privazione degli strumenti di lavoro.